Storia

Cenni storici sul comune di Merone

Cenni storici sul comune di Merone

Posto a chiudere, da meridione, il Pian d’Erba, il territorio di Merone si caratterizza per il suo aspetto collinare e per la sua idrografia.
Almeno tra le colline che ondulano il paesaggio: quella di Merone, che degrada verso Baggero ed il Maglio, quella della Ferrera, della Specola e dell’Alpè, in posizione centrale e infine quella di Moiana, che scende a toccare le sponde meridionali del lago di Pusiano.

Fino a tutto il XIX secolo, il territorio ebbe un aspetto chiaramente agricolo: è del 1928 la vera svolta industriale, con l’entrata in funzione della “Società-Fabbrica di Cemento Portland Montandon & C.”, divenuta ufficialmente “Cementeria di Merone” nel 1941. E della sua vocazione agricola, la zona, largamente destinata – soprattutto nell’Ottocento – alla coltivazione della vite e del gelso, conserva ancora la memoria in alcuni caratteristici toponimi: “la vigna” a Merone, ad esempio, e “la muranéra” a Moiana.

La configurazione del territorio non ha certo favorito l’accentramento urbanistico. Il Catasto Teresiano della prima metà del Settecento e, ancora un secolo dopo, il Catasto Cessato testimoniano l’ubicazione e la destinazione rurale delle abitazioni. Così intorno ai due piccoli centri di Moiana e di Merone sorsero, disperse su un territorio molto vasto, le numerose frazioni e cascine: Pontenuovo, Stallo, Ferrera, cascina Specola, villa Savina (Alpè), cascina Girasole, villa Betlemme, molino Crotta, Maglio, cascina Ceppo, Baggero, cascina Campomarzo e Canova.

E’ chiaro come alcuni di questi toponimi – Ferrera e Maglio, ad esempio- derivino la loro origine delle attività lavorative lì esercitate; in frazione Specola esiste ancora una torretta, non si sa quanto antica, che potrebbe dare spiegazione del nome, facendo pensare a un luogo adatto all’osservazione del cielo.

Il popolamento del territorio, in contrasto con la forte antropizzazione attuale, è rimasto fino al secolo scorso abbastanza modesto. Al censimento del 1861 risultavano 395 abitanti a Merone, 358 a Moiana. Nel 1881 il numero complessivo delle famiglie a Merone era 49: 23 risiedevano al centro del paese, cove, come testimonia la “Tabella per la denominazione delle vie e piazze”, non c’erano nè vie nè piazze, 26 nelle frazioni. E dallo “Stato di numerazione delle case ed altri stabili fabbricati” si desume la consistenza precisa degli edifici esistenti sul territorio: essi erano “5 a Merone, 6 al Maglio, 1 al molino Crotta, 1 a Pontenuovo, 1 a Ceppo, 3 a Baggero, 1 alla Cà di Marzo e 1 alla Cà Nova”. L’abitazione era, però, la tipica casa rurale brianzola, la “corte”, se aggregata in un centro, o la “cascina”, se isolata nelle campagne, dove più famiglie si dividevano i locali. A Merone, ad esempio, in tre case rurali vivevano ben 235 persone: 7 famiglie in una casa e avevano a disposizione 25 locali, 9 famiglie in un’altra con 38 locali e 5 nell’ultima, la più piccola, con 21 locali.

ECONOMIA
Si può dire che la storia economica di Merone abbia per lunghi secoli seguito, nel suo sviluppo, il corso del Lambro.

Nel Settecento la struttura economica e sociale del paese era ancora fondamentalmente feudale. La proprietà fondiaria era concentrata nelle mani di poche famiglie nobili: la contessa Aliprandi e il conte Sormani a Merone, la famiglia Ripamonti Carpani a Moiana. Sia Merone che Moiana avevano, ancora nel 1751, il loro feudatario: rispettivamente il conte Gaetano Aliprandi e il conte della Riviera. L’amministrazione, la conservazione del patrimonio pubblico, la ripartizione delle tasse venivano curate dal “console” e dal “cancelliere”, che, in caso di necessità, riunivano in piazza i capifamiglia o, come a Moiana, i “maggiorestimi”, cioè le persone più ragguardevoli per possedimenti o per censo. Il contratto di lavoro predominante era l’affitto a mezzadria. Le coltivazioni più diffuse erano quelle tipiche della zona: frumento, segale, viti; ma cominciava già a prendere piede anche la gelsobachicoltura, attività, tra l’altro, sollecitata dal governo austriaco.

In questo periodo il Lambro non svolgeva ancora un ruolo primario nell’economia; anzi era sentito piuttosto come un ostacolo: rendeva, infatti, difficili le comunicazioni a causa della precarietà dei ponti e nuoceva spesso all’agricoltura con le nebbie provocate dalle sue acque, che limitavano i raccolti, soprattutto di frumento.

La situazione si modificò profondamente nell’Ottocento, soprattutto nella seconda metà del secolo.

Il Lambro, in questo periodo, diventò motivo di sviluppo per il commercio e per l’industria: mulini, magli, torchi e più tardi le industrie seriche ricavarono dalle sue acque la forza motrice necessaria per il loro funzionamento. Stallo, Maglio e Baggero furono le zone maggiormente interessate. Qui si raddoppiarono, rispetto al secolo precedente, i mulini e i torchi (erano ben dieci i mulini esistenti a fine Ottocento lungo il corso del Lambro solo a Merone). Qui operarono i primi “filatojerj”. Poi arrivarono anche le tintorie e fu la volta di Pontenuovo. Furono quasi tutte manifatture collegate con la lavorazione della seta.

La prima a sorgere fu la “Filanda Isacco” , che resta un po’ il simbolo dell’Ottocento industriale a Merone. Più precisamente si trattava di “pettinatura di cascami di seta”, come risulta dalla domanda presentata il 20 marzo 1862 alla Giunta municipale. In breve tempo la filanda ebbe un notevole sviluppo e richiamò in paese numerosi lavoratori “forestieri” : una delibera del Consiglio Comunale del 1865 ricorda, infatti, che in paese dimoravano non meno di 200 forestieri addetti ai lavori in filanda.

L’avvento dell’industria e l’intensificarsi dell’attività commerciale fecero sentire la necessità di migliorare le vie di comunicazione. Così si ampliarono le strade; per l’attraversamento del Lambro si adattarono i vecchi ponti e se ne costruirono di nuovi. Ma la vera rivoluzione nel sistema delle comunicazioni fu la costruzione delle reti ferroviarie di cui a Merone e a Moiana si incominciò a parlare a partire dal 1865. Non furono in molti all’inizio a comprendere l’importanza della cosa e il vantaggio che ne sarebbe potuto derivare al paese. I più convinti sostenitori dell’impresa furono gli Isacco. Essi nel 1876 giunsero a sostituirsi al Comune di Merone, che, per mancana di fondi, aveva votato contro la realizzazione della linea ferroviaria Milano-Incino. Pagarono in proprio la quota di £. 3.200 assegnata dalla società costruttrice al Comune. A Moiana nel 1886 fecero spostare la stazione ferroviaria dalla cascina Girasole, dove era prevista nel progetto originario, alla località “detta del Laghetto”.

Quando il cavalier Zaffiro Isacco diventò, prima, Assessore comunale e, poi, Sindaco di Merone, fu il segno che la nuova borghesia imprenditoriale si era ormai sostituita all’antica nobiltà e aveva decisamente preso le redini del potere.

E le trasformazioni sociali ed economiche si susseguirono sempre più rapide nel Novecento.

Così, se la “filanda Isacco” potè essere considerata il simbolo della nascente industria dell’Ottocento, la “cementeria di Merone” è stata senza dubbio la manifestazione più chiara della nuova realtà industriale del Novecento. Con una differenza, però. Nel secolo scorso l’industria della seta si sviluppò in stretto rapporto con l’attività agricola: la gelsobachicoltura garantiva ai vari opifici la fornitura indispensabile di materia prima. Così lo sviluppo delle filande non portò come conseguenza all’abbandono dell’attività agricola, ma tutt’al più ad una sua specializzazione per fini industriali. La cementeria, invece, per la sua stessa natura, indirizzò la sua attività allo sfruttamento della struttura geologica del territorio ricco di marna e di calcare. Per questo dovette porsi al di fuori della tradizionale linea di sviluppo segnata dal Lambro: l’ubicazione ottimale dello stabilimento doveva, infatti, garantire un efficiente trasporto del prodotto e, di conseguenza, si collocò al centro del nodo viario e ferroviario, che si era costituito negli ultimi decenni del secolo scorso.

L’entrata in funzione del nuovo stabilimento diede una notevole accelerazione alle trasformazioni sociali in atto nel paese. Fu un’occasione che nessuno lasciò perdere per assicurarsi un lavoro e per uscire dalla situazione precaria che caratterizzava ormai l’attività agricola.

Il primo trentennio del Novecento vide, comunque, a Merone non solo l’affacciarsi della nuova attività cementiera, ma anche la ristrutturazione delle industrie già esistenti, che passarono, in pratica, dal modello paleo-industriale ad un’organizzazione più moderna ed efficiente.

Il resto è storia di oggi, a partire dalla ripresa economica del dopoguerra, affidata proprio all’industria, che fu causa insieme e conseguenza del rapido incremento demografico e del tumultuoso sviluppo urbanistico tipico dei nostri anni.

Per approfondimenti e maggiori informazioni www.comune.merone.co.it